mercoledì 18 luglio 2007

il caldo mi fa invocare uno scatafascio di pioggia

Il titolo del post già potrebbe bastare perché mi sembra sufficientemente lungo. Tuttavia (stavo giust'appunto andando a mettere la testa sotto l'acqua, quando pure il condizionatore mi ha sussurrato che, non fosse che morirebbe fulminato, lo farebbe anche lui) il neurone sopravvissuto alla disidratazione è passato dai seguenti argomenti: caldo - pioggia - molta pioggia - scivolare per la pioggia - ma qual'è la figura di merda peggiore tra le due.

Illustro.
Opscion namber uan.
Tra me ed un collega si era creata una certa simpatia, da indagare. Finalmente un giorno mi invita a pranzo e usciamo insieme dall'ufficio in centro-centro-centro città. Sfiga vuole che piove. Poco, ma piove. Mano destra detiene sigarette, accendino e portafogli (ché da Roma in sù col cazzo che i colleghi ti offrono il pranzo), mano sinistra detiene ombrello. Faccio per aprire l'ombrello, cosa non facile con tutto quello che avevo nelle mani e per l'emozione (sì. Mi emoziono con poco, è risaputo) dell'aver obbligato costui a pranzare con me. Quindi cammino e tento di aprire l'ombrello, ai piedi delle Camper quasi nuove, che per chi non le abbia mai avute, hanno una suola fatta da piccole semisfere. Scivolosissime. Le associo al rumore dello spot del Last al Limone. Appena uscita dal cortile del palazzo che ci ospitava, tombino. Bagnato. Scivoloso. Cosa fanno due corpi scivolosi a contatto? Aderenza? Nein.
Il collega (ringrazio ancora il cielo) era un passo avanti a me, ed io mi produco in una sforbiciata in aria che neppure Nadia Comaneci. Con l'unica differenza che lei sarebbe riatterrata sulle sue gambe, io sono atterrata sulle gambe della passante che mi tallonava (la distanza di sicurezza vale anche per i pedoni, cazzo!) con la mia schiena. Non essendo uno scricciolino da 40 kg per 1,50 d'altezza, forse le avrò fatto anche un po' male. Ma era proprio necessario urlare come le oche del Campidoglio al passaggio di Veltroni?!
Il mio collega si volta e vede il tartarugone sulla schiena (io, sic), ombrello, portafogli, sigarette, accendino a raggiera, la pedona che mi guarda con ferocia (che mo' il mio passatempo è quello di investire le persone previa esercitazione di ginnastica artistica), altri passanti che mi offriono una mano per rialzarmi. Ah, neanche a dirlo che tutt'intorno era costellato di pozzanghere, quindi alzarsi significava affondare una manica della giacca in 3 cm d'acqua.
Il collega ride.
Io vorrei aprire il tombino, buttarmici dentro per non ricomparire mai più, che magari trovo i famosi alligatori albini che leggenda metropolitana vuole essere copiosamente presenti nei sotterranei di NYC.
Quando raggiungiamo il self-service e scopro con ribrezzo che si trova al piano interrato, ed è necessario scendere 23 rampe di scale, il collega dice: "Mi raccomando, attaccati bene al mancorrente, vado avanti io, così, nel caso, non arrivi fino al tavolo degli antipasti". Punto. Fine di una storia che poteva essere d'amore.

Opscion namber tù.
Ho un amico figo. A me non piace, ma a tutte le altre sì. Alto, snello, fronte alta, intelligente, laureatosi in orario e cominciato immediatamente una buona (? Buona secondo i suoi canoni, io mi sarei suicidata al terzo giorno di lavoro) carriera in una di quelle società di consulenza americane dove, se inizi a lavorare alle 9.30 ed esci dall'ufficio del cliente prima delle 20, devi segnare sulla nota spese di aver fatto mezza giornata. In ufficio deve essere odioso e spaccamaroni, ma come amico è egocentrico, ipocondriaco, spocchioso, ma vero. E mi diverte molto.
Sicché anche per lui piove a dirotto, così a dirotto che invece di aspettare il taxi prende la metropolitana. È a 10 gradini dalla banchina quando sente l'allarme delle porte del treno che indica chiusura a breve. Fa i gradini 5 a 5, ombrello in una mano, borsa col portatile nell'altra, si infila tra le porte che stanno per chiudersi e, quasi già tronfio e fiero, realizza che suola in cuoio e pavimento bagnato del metrò non si amano.
Sforbiciata in aria, rovinosa caduta sulla schiena, ma che gli fosse venuto in mente di mollare portatile e/o ombrello per mettere giù le mani! Quindi pure una capocciata. Anni di sport vari l'hanno reso più atletico della sottoscritta, quindi con la sola potenza degli addominali scolpiti, eccolo in piedi nel suo cappottino Ermenegildo Zegna, che finge completo disinteresse vergognandosi invece come un cane rognoso (...e perché i cani rognosi dovrebbero poi vergognarsi? Quisquilie). Estrae il quotidiano dalla borsa e si mette a leggere, ma avverte prima una risatina sommessa a destra, poi una a sinistra, infine per un attimo alza lo sguardo e capisce di aver dato luce alla giornata grigia e buia di innumerevoli pendolari.

A me la sua fa più ridere, perché la mia probabilmente brucia ancora.
Ah. Stasera avevo deciso che non scrivevo niente.
Anfatti.

3 commenti:

Callista ha detto...

Sei il mio prozac naturale: sto ancora ridendo per la sforbiciata alla Comaneci. Forse perchè ne ho fatta una anch'io, scendendo dall'autobus? Sorelle di sforbiciata.
baci

steff ha detto...

what' "cosce di monaca"?

scrivo qui perchè non so se hai l'abitudine di andare in giro a leggere le risposte ai tuoi commenti

Pappina ha detto...

@cally: sorelle, deciso.
@steff: ti rispondo di là.