domenica 8 marzo 2009

storia di due che vogliono trovarsi su strade diverse

Alle volte sono proprio piccoli gesti che ci fanno pensare che qualcosa di grande sta accadendo.
Il tocco di una mano su un polso è un gesto da niente, però.
Però alle volte diventa gigantesco, e può scatenarti molte riflessioni, troppe, forse.

I fatti erano semplici e scarni: un uomo e una donna, che a pelle non si sopportavano, si erano trovati a condividere lati del carattere, idee, comportamenti. Questo li aveva avvicinati, fin quando la distanza era venuta totalmente a mancare e si erano baciati. Due volte.
Lui, con la sua tribù di compagna e figli, e lei, sola.
Lei sperava fosse uno stupido fuoco di paglia e una volta resasi conto che si era sbagliata, e di grosso, aveva cercato di nascondersi, di farsi piccola e inconsistente: non voleva sulla coscienza una storia così, non voleva fare l'amante, non voleva minare le basi di un matrimonio.
Lei non era una sfasciafamiglie, e cazzo! Doveva dimostrarlo.

Ma quel tocco. Quel tocco le aveva spedito il cuore direttamente in gola.

Lui, dal canto suo, teneva molto a non macchiare il suo ruolo di marito e padre (quasi) modello, e il giorno in cui si era recato nell'ufficio di lei per mettere le cose in chiaro, non credeva ne sarebbe uscito completamente frastornato. Si era ripetuto cento volte che era stata lei a baciarlo ma, mano mano che lo ripeteva, avvertiva scricchiolii sempre più striduli, e allora aveva pensato anche al secondo bacio, che era stato lui a darle. Ma ogni uomo al suo posto avrebbe fatto la stessa cosa, la voglia di conquista è insita nell'animo maschile, si diceva.
Questa considerazione, neppure avesse trovato il Santo Graal, gli aveva fatto fare pace con sé stesso.

Ma quel tocco. Quel tocco aveva rimesso tutto in discussione.
Aveva sentito un'emozione così forte da volerla prendere tra le sue braccia, lì, subito. Solo la presenza della folta schiera di colleghi lo aveva fermato.

Il collegamico, con cui era tornato nel proprio ufficio, aveva sentenziato:
"Penso che sei nella merda. Che ti stai innamorando".
Un colpo basso, quello. Possibile che gli altri pensassero di leggergli dentro più di quanto egli stesso non fosse in grado di fare? Era forse così trasparente? Mandò Enrico, il collegamico, a fare in culo con violenza, era uscito dal palazzone con una rabbia esplosiva in corpo. Verso lei, verso lui, ma soprattutto verso sé stesso. Invece di andare a prendere la metropolitana, aveva camminato a lungo, con passo veloce, sperando che arrivasse un'altra considerazione salvatrice che giustificasse il suo comportamento e le parole dell'amico.

Dopo più di due ore, aveva smesso di sperare.
Merda. Il desiderio verso di lei si era materializzato proprio con quel doppio bacio. Forse era solo desiderio, allora? Forse era solo alla ricerca di un'emozione che gli desse una scarica di adrenalina, dopo anni di routine? Oppure l'amico ci aveva visto giusto?
Non capiva, non ne aveva i mezzi. Il desiderio offuscava qualsiasi possibile implicazione sentimentale.
No. Così non va bene. Sono un uomo adulto, per dio, io questa cosa la devo affrontare e chiarire una volta per tutte - così pensava. Doveva solo trovare il modo, e mentre riaccendeva il cellulare e vedeva le tre chiamate da casa, ché si era fatto tardi, gli venne l'idea.

Il giorno seguente, alle sette di sera in punto, lei usciva dal palazzone e, accendendosi una sigaretta, si avviava a casa di un'amica da cui avrebbe cenato, ma soprattutto con la quale avrebbe parlato della situazione assurda che stava vivendo. Il solo pensiero di poter condividere i suoi pensieri e le sue ansie, la facevano sentire più leggera.

Lui la vide da lontano. Era più di un'ora che l'aspettava semi-nascosto in un bar lungo il suo abituale itinerario, quel cambio di direzione lo mandò nel panico. Uscì correndo, percorse a gran falcate quei cento metri che ormai li separavano, arrivato a qualche metro di distanza le urlò: "Aspetta!".
Lei sentì una sensazione simile a quella provata una volta da bambina, quando si appoggiò sopra un tavolo con troppa energia, e la dozzina di uova che stavano sopra rotolò a terra. E quante ne prese da sua nonna. 
Lui le mise, con fare amichevole, una mano sulle spalle, ansimando per la corsa, e con gli occhi incollati all'asfalto le disse: "Io e te dobbiamo parlare".

Le dita che tenevano la sigaretta tremolavano un po'. Lei cercava un auto-controllo faticoso. Si voltò di scatto e lo guardò dritto negli occhi, liberandosi dal suo braccio.
"Dimmi".
Cazzo, ora lui l'aveva davanti e la guardava come un animale raro. 
Cazzo, di nuovo preso in contropiede. 
Lei cercava la dolcezza dello sguardo, ma vedeva solo gli occhi di un uomo spaventato, che non aveva ancora aperto bocca.
"Dimmi", gli ripetè con tono frettoloso.
"Non fare la dura con me, non c'è bisogno".
"Non faccio la dura, hai detto che mi vuoi parlare, devo correre da un amica che mi aspetta per cena, dimmi cosa cazzo c'è!": merda, era stata un po' aggressiva, non voleva. Non poteva.
Lui aveva sorriso, stavolta era stato lui a stanarla.
"Vedi? Se sei aggressiva vuol dire che qualcosa c'è di cui parlare".
Spazientita, ma più che altro impaurita - quella stramaledetta dolcezza era tornata nel suo sguardo, e lei si sentiva infilzata da parte a parte - gli aveva risposto:
"Ci siamo baciati, non ne fare un dramma, era solo un capriccio di entrambi", e per qualche decina di secondi regnò il silenzio. "Ora devo andare, scusa", si voltò per proseguire sulla sua strada, fece un paio di metri con una tachicardia che credeva di rimanerci.

Dopo un po' si voltò, lui non c'era più, e allora permise a due lacrimoni di scendere. Non fece tempo a darsi, a voce mica tanto bassa, dell'emerita imbecille per più di dieci volte, e se lo trovò davanti. Ma come aveva fatto? Ma chi aveva davanti, il mago Houdinì?
"Che piangi a fare? Vieni qui" e di colpo l'aveva abbracciata stretta. Lei non era neppure riuscita a opporre resistenza, e mentre ricacciava le lacrime indietro, quelle invece si moltiplicavano, ma con quell'abbraccio era passata dalla sensazione di essere sola al mondo, ad uno stato di completezza. Gli erano venuti in mente i romanzetti Harmony della sua adolescenza.
Lui l'aveva guardata dritto nel fondo degli occhi. Non gliene fregava più niente di essere controllato, inopportuno, scoperto. La baciò. 
Tutto il resto del mondo, la città, i passanti, le auto nervose, la sua vita, la vita di lei, erano al di fuori della loro bolla di felicità momentanea.
Una bolla, come quelle di sapone.
Pronta a scoppiare al primo alito di vento.

[donne: festa delle. Io ho festeggiato vedendomi la Littizzetto circondata da tre bellimbusti, e tra Ghini e Scamarcio non c'è confronto, Ghini forever]

[questa credo sia l'ultima puntata, ma mai dire mai]

4 commenti:

Anonimo ha detto...

ma sei tu questa, che ti immedesimi così bene?
è_é <---faccina sospettosa
stormy

Anonimo ha detto...

Bene,se non è autobiografia è l'inizio di un romanzo d'appendice (o anche di un romanzo giallo, o a sfondo storico, o di satira sociale "Marcovalda?").
Secondo me non è l'ultima puntata. Qui c'e' passione, e la passione è un problema, se si è a contatto tutti i giorni.
In ogni caso, mi sa che non è lei la sfasciafamiglie, il problema è suo di lui.
Oggi c'è il sole, e tira vento, ed è lunedì. Ma c'e'un refolo di speranza.
Cc

Anonimo ha detto...

Sono per il mai dire mai.

Pappina ha detto...

@stormy: ma nooooooooo...

@cc: non sai che le donne di natura sono portate all'auto-flagellazione? concordo sull'attribuzione corretta dei sensi di colpa, tuttavia è difficile governare la mente, che parte per una tangente da cui poi è difficile recuperarla. oggi c'era troppo vento.

@zino: pur'io.