Sicché vado a vedere un concerto con ex-amante.
Un anno e mezzo che non ci vediamo.
Non sono permalosa, no no.
Successe questo (pregasi mettersi comodi).
Un anno e mezzo fa andammo fuori a
cena, fu veramente bello. Non più amanti da molto tempo, solo qualche piccola deviazione, riuscii finalmente a mettere piede nel suo intero mondo, e non in soli quattro continenti.
Serata bellissima, conclusasi con mia media performance e il viso di un bambino che ha visto un elefante volare.
Poi.
Il buio.
Se non ricordo male il giorno dopo partiva per le vacanze con tutta la famiglia, e io gli scrissi un messaggio. Cosciente del fatto che i suoi figli sono nell'età in cui fregano i telefonini e li frugano curiosi come bertucce, scrissi qualcosa di asettico, che non dava adito a chissà quali sospetti, ma che aveva un riferimento celato alla bella sera trascorsa.
Due settimane e un giorno dopo.
Due settimane e un giorno dopo mi arrivò la risposta.
Scrisse che gli si era rotto lo schermo del cellulare, e non poteva leggere i messaggi.
Dai, cazzo. Non ho scritto "Sali & Tabacchi" in fronte. Non sono un'idiota.
(non fino a tal punto)
Neppure fossi la sola che ti scrive messaggi! Spesso sono i colleghi a contattarlo così per delle info.
(è abbastanza un dio nel suo mestiere, sì sì)
Quindi no, non gli credetti.
Iniziai a staccarmi per un motivo evidente: potevo capire quando eravamo amanti. Potevo capire, soffrivo come un cane (ma d'altronde non è che me la fossi cercata, mi ci ero imbattuta, e una volta imbattuta per molto tempo non riuscii a tagliare i ponti), ma potevo capire.
Ora no.
Ora non c'è motivo, sono una persona (quasi) come un'altra, se non mi rispondi perché hai deciso di buttare il telefono nel cesso e prendere i cocci del tuo matrimonio e riattaccarli, va bene. Dimmelo e va bene. Qualsiasi altra ragione, anche fosse una troiona che ti fa un sesso tanto e che pensi di sposare in seconde nozze, va bene. Dimmelo e va bene.
Ma non raccontarmi storie.
Non faccio più finta di crederci.
E siccome divento pure veramente stronza quando mi sento presa in giro, non mi è scappata una sillaba sulla ragione della mia incazzatura. Non sa neppure che mi sono incazzata. E se ha un vago sospetto, comunque ignora la ragione.
Mandava messaggi, rispondevo uno o due giorni dopo, se rispondevo.
Mi chiedeva di uscire, rispondevo che avevo cose da fare o che non stavo bene o trovavo le scuse più bieche che il mio cervello potesse partorire.
[lascia stare, ché il mio cervello è veramente fantasioso: ieri - mentre sotto si fumava (sigarette normali, n.d.b.) - lui si è messo a ringraziare per l'Oscar. Me ne dissocio, un po' esagera]
Non avevo voglia di vederlo. Punto.
Per un po' ha chiesto: "Ma che c'è? Ma ti ho fatto qualcosa?", ma io negare sempre negare.
Perché?
Tu mi imbrogli e io non dovrei ripagarti con la stessa moneta?
[inizio dei consigli per gli acquisti - maschi che vi poteste eventualmente imbattere in queste righe, sappiatelo: a parità di intelligenza, o anche se vi reputate un po' più intelligenti, non mentite a una donna: se non vi sgama è perché è scema. così vi regolate, ecco - fine dei consigli per gli acquisti]
Non è stato un comportamento vendicativo. Ero delusa. Non lo volevo guardare in faccia, ecco.
Nel frattempo l'amica Psycho cercava di intercedere, ma io sono un po' testarda.
Poi, ormai era già passato un anno, a settembre ricominciò un gran pressing. Decido di portarlo a vedere un concerto. Almeno sfrutto il passaggio in macchina.
Arriva in una gelida serata di dicembre, mi saluta, partiamo, chiacchieriamo di banalità, entriamo un'ora e mezza prima dell'inizio dello spettacolo, gli mostro un po' di foto che avevo nell'ipad (furbescamente portato per dirottare la conversazione), concerto, patisco un gran freddo, fine concerto bello bello, risaliamo in macchina, altre banalità, arriviamo sotto casa mia.
Ero seriamente mezza congelata e non vedevo l'ora di mettermi in branda al calduccio. Ma forse ho anche voluto stabilire una distanza, non so. La stessa che lui mi ha imposto.
Si gira con la schiena mezza appoggiata contro la portiera, versione "due chiacchiere in due ore", ma gli dico che ho freddo, che stavolta niente chiacchiere.
E niente elefante che vola.
Mi accompagna con espressione stranita al portone.
Mi regala due libri. Mi dice che abbiamo una cena in sospeso.
Gli dico: "Sì, però facciamola col caldo, a primavera". Che vuoi che siano quattro mesi.
Ci salutiamo.
Sono a letto e ripenso alla serata. Mi è sembrato che questo rapporto sia allo scatafascio. Mi dispiace e mi rendo conto che la colpa è anche mia. Anziché incontrarlo l'anno scorso per urlargli in faccia la mia rabbia, ho preso distanza. Ed è una cosa che aborro. Ma non sono riuscita a fare altrimenti. Ho fatto e disfatto come in quei momenti mi andava di fare, senza pensare se lui ne avrebbe sofferto o meno.
Non mi interessava la sua sofferenza.
Cinica. Molto male.
Per molto tempo sono esistita dalle 8.30 al suo rientro a casa. Solo giorni lavorativi.
Ora no.
Ora basta.
Ora è tempo di liberarsi dalle catene.
(che tristezza, però)